FAZI
Fiera Agricola Zootecnica Italiana
È la manifestazione dedicata al settore primario, attrezzature agricole e zootecnia in programma dall’1 al 3 febbraio al Centro Fiera di Montichiari (BS).

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Fiera Agricola Zootecnica Italiana

“Oggi la zootecnia è sempre più digitale e attenta ad introdurre tecnologie innovative e la prospettiva è quella di avere un incremento dei sensori in allevamento a 360 gradi, dal monitoraggio della produzione al rilievo della ruminazione e degli estri, dal peso corporeo al comportamento animale che offre indicazioni oggettive relative al benessere o all’insorgenza di situazioni di malessere. I rilievi si stanno estendendo a tutti i bisogni e riguardano non solo il comportamento degli animali in mangiatoia e durante la ruminazione, ma anche nel corso della mungitura o in fase di riposo, fino ai fattori esterni come la temperatura ambientale all’umidità”. Il panorama e prospettive della stalla digitale li tratteggia il professor Martino Cassandro, direttore di Anafibj (l’Associazione nazionale degli allevatori di bovine da latte di razza Frisona, Jersey e Bruna) e docente in aspettativa di Miglioramento genetico e Biodiversità animale e di Produzione animale all’Università di Padova, a margine del convegno “Sensoristica e selezione della vacca da latte” alla 94ª edizione della Fiera Agricola Zootecnica Italiana di Montichiari.
E dal palcoscenico sempre più internazionale della FAZI, il prof. Cassandro lancia un messaggio che abbraccia il futuro dell’agro-zootecnia e l’approccio alle nuove tecnologie. “La sensoristica si sta diffondendo rapidamente, per i vantaggi che assicura in termini di monitoraggio della vita dei bovini e della produzione e non è legata solo ad allevamenti intensivi, ma anche agli allevamenti di montagna – spiega -. Abbiamo infatti esempi di recinti virtuali per il pascolo turnato, senza avere una recinzione fisica. Non serve, dunque, applicare le nuove tecnologie solo a stalle di pianura, perché c’è una sensoristica per tutte le realtà e con vantaggi e utilità per tutti gli allevatori”.
Professor Cassandro, è possibile individuare delle tipologie specifiche di allevamento?
“Direi che non abbiamo un allevatore medio di vacche da latte, ma 4-5 tipologie differenti, da quello che ha 20 vacche a quello che ne ha 500, fino a quello che ne ha più di mille. E in tutti i casi la sensoristica può dare risposte e Anafibj è interessata a fornire supporto diversificato a seconda delle esigenze diverse”.
Quanto sono diffuse le tecnologie digitali?
“La diffusione è già a buon punto ed è in continua crescita, anche in funzione alla zona d’Italia. Nel Nord Italia, dove si produce oltre l’80% del latte italiano, siamo ormai al 45% di presenza di aziende che adottano strumenti di zootecnia di precisione e che hanno da uno a più strumenti con sensori al loro interno. Al Sud siamo a un terzo come diffusione, ma la zootecnia è meno diffusa”.
In quale direzione sta andando la selezione delle bovine da latte?
“Verso una soluzione olistica, quindi sostenibile da un punto di vista sociale, ambientale ed economico”.
Dove si colloca l’Italia, quando parliamo di genetica?
“Per la selezione genetica della bovina da latte siamo tra le prime 4-5 posizioni a livello mondiale in termini di dimensione di popolazione bovina allevata e in termini di livello genetico acquisito nei 50 anni di selezione svolti”.
In quale direzione andrà la selezione in Italia?
“Accanto ai parametri legati alla fertilità, alla longevità dell’animale, alla produttività, all’attenzione agli aspetti per così dire di sostenibilità ambientale, l’Italia può e deve giocarsi obiettivi di selezione legati ai prodotti tipici, al Made in Italy, per la produzione di formaggi di lunga stagionatura e per le Dop, a partire dal Grana Padano e dal Parmigiano Reggiano. Dovremmo produrre materia prima adeguata alla nostra tradizione agroalimentare, che è essenzialmente casearia.
Un altro aspetto è legato alla differenziazione delle popolazioni Holstein fra di loro, perché hanno un alto livello di consanguineità per la selezione”.
Qual è la situazione attuale nelle stalle, se parliamo di benessere animale? Troppo spesso il consumatore ha una visione fuori fuoco rispetto alla realtà.
“Siamo in netto miglioramento, anche se non siamo molto bravi a comunicarlo, grazie a due fattori: uno è la pressione mediatica e sociale, che ha innescato maggiore attenzione verso l’animal welfare, l’altro è una motivazione più tecnica ed è legata al fatto che gli allevatori diminuiscono di numero e rimangono quelli più professionali. Aumentano quindi le dimensioni aziendali medie, mentre diminuiscono gli allevamenti, ma allo stesso tempo cresce la professionalità degli allevatori nell’utilizzare strategie e tecniche di allevamento, che hanno come scopo avere un animale in condizioni benessere”.
Il governo della Nuova Zelanda ha proposto l’applicazione di una tassa sulle emissioni. Pensa che possa essere una soluzione efficace per ridurre le emissioni o possono essere adottate altre strategie?
“Penso che sia una delle tante strategie che si possano adottare, ma dobbiamo essere molto vigili a non cadere negli estremismi. Non dobbiamo cioè equiparare gli allevamenti a sistemi ben più inquinanti. Una strada da perseguire dovrebbe essere una legislazione nazionale o, meglio ancora, europea, che tende a premiare gli allevatori che adottano tecniche di basso impatto ambientale come la selezione di animali più efficienti, le strategie di miglioramento della fertilità, strategie alimentari che utilizzano gli acidi grassi insaturi nella razione così da intercettare l’idrogeno e produrre meno metano nel rumine. Sono soluzioni che devono esser premiate”.
Come immagina le stalle della Pianura Padana fra 10 anni?
“Me le immagino con una maggiore professionalità, un’attenzione più profonda ai bisogni sociali e prevedo stalle ancora più dotate di tecnologia. Ci sarà anche un ritorno dei giovani”.